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Flavio Folco va in pensione

È facile dare la colpa al funesto anno bisesto. Ma se non altro la colpa di avere mandato Flavio Folco in pensione, il 2020 non ce l’ha. E la sua pensione, sia detto senza offesa, non è una tragedia paragonabile alle altre che abbiamo passato quest’anno.

Tuttavia salutare Flavio resta un’occasione felice e spiacevole allo stesso tempo. È stato un ottimo compagno di viaggio: allegro, gentile, disponibile. Un compagno di viaggio con il termos sempre pieno di caffè caldo.

Arriva da molto lontano. Il suo percorso è iniziato quarant’anni anni fa, quando il CNOS era ancora agli albori. Nel cortile del CFP non esiste centimetro quadrato che non sia stato calpestato dalle sue scarpe. Credo che potrebbe parlare ai lapidelli, ai torni, ai trapani così come oggi si parla ad Alexa o a Siri: “Lapidello 15, assottiglia il pezzo di mezzo millimetro ai due lati brevi!” E il lapidello esegue, mansueto e obbediente. Flavio Folco: l’uomo che sussurrava alle frese.

Definire quali caratteristiche debba possedere un buon insegnante non è facile. È come la ricetta per il Tiramisù: ognuno è convinto di possedere la migliore. Alcuni ritengono che abbia da essere esperto e competente. Altri sostengono che dovrebbe avere un carattere aperto e comprensivo; c’è chi ritiene che l’insegnante ideale sia colui che riesce a ottenere il meglio dai suoi discenti. Poi c’è Flavio: la sapiente miscela delle buone virtù di un insegnante, la giusta dose, modulabile a seconda delle occasioni e degli allievi. 

Nel laboratorio di Pesi e Misure a Sèvres, in Francia, si conserva il metro standard, quello che serve da esempio per tutti gli altri. Se proprio fosse necessario misurare il valore di un formatore potremmo inventare un parametro in carne e ossa (il platino – scusaci Flavio – non ce lo possiamo permettere) e lo potremmo chiamare “Il Folco” una misura stabile e costante da almeno 40 anni che indica il buon formatore, colei o colui capace di essere contemporaneamente punto di riferimento e piano di supporto, unione di serietà e leggerezza, di motivazione e pazienza. 

L’unica mancanza che, da domani, non potremo perdonargli, è proprio la sua mancanza, perché ci fa sentire un po’ più soli, ci fa perdere un punto di riferimento; cercheremo di perdonarlo: d’altronde non si può viaggiare all’infinito. Anche la più lontana delle mete, prima o poi viene raggiunta. La vita è un portapenne di segmenti e oggi un lungo segmento è arrivato a compimento. 

Non possiamo fare altro che ringraziarlo per ciò che ha messo nel CNOS, nel CFP di Fossano, nell’officina di meccanica industriale, nelle aule e nel cortile. Sapendo di usare una metafora che apprezzerebbe gli auguriamo di invecchiare come accade al vino di grande valore: lentamente, con serenità, continuando a migliorarsi.